Il 18 Ottobre il sergente israeliano Gilad Shalit è stato liberato da Hamas dopo cinque anni di prigionia, in cambio saranno liberati 1027 detenuti palestinesi dalle carceri israeliane.
Shalit, catturato il 25 Giugno 2006, era entrato nell’ Idf (Israel Defense Forces) a soli 18 anni, poco dopo essere stato arruolato, mentre si trovava di pattuglia con dei compagni sul confine fra Gaza ed Israele venne attaccato alle spalle da guerriglieri palestinesi, che avevano scavato un tunnel sotto la barriera costruita sul confine. Il bilancio fu di due soldati morti, tre feriti e la cattura del giovane sergente.
Tre giorni dopo l’attacco l’esercito israeliano tentò un’operazione di salvataggio, che finì molto male, infatti vennero uccisi cinque soldati israeliani e 277 palestinesi, senza arrivare alla liberazione di Shalit. Hamas chiese, in cambio dell’israeliano, la liberazione di tutte le donne e i minorenni detenuti dagli israeliani, Tel Aviv rifiutò la proposta.
Nel Luglio 2006 Hamas alzò la posta in gioco richiedendo la liberazione di 1000 detenuti palestinesi, ma le prime notizie su Shalit arrivarono solo nel Giugno 2007, quando venne inviata un’ audio-cassetta su cui il sergente aveva registrato una richiesta di scambio. Poi buio assoluto fino al 2009, infatti il prigioniero non fu mai visto nemmeno dalla Croce Rossa, quando, in cambio di 20 detenute palestinesi, fu rilasciato un video di Shalit.
E’ difficile dire con precisione quando sono cominciati i dialoghi veri con Hamas per il raggiungimento di un accordo, ma oggi sappiamo che un accordo c’è. Infatti la prima tranche di prigionieri palestinesi, 477, ha raggiunto Ramallah il giorno stesso della liberazione del soldato israeliano. L’ Egitto sarà garante dell’arrivo degli altri 550 palestinesi entro la metà di Dicembre, e possiamo essere sicuri che lo scambio avverrà senza troppi intoppi.
La sicurezza di questa affermazione deriva dal fatto che Netanyahu, grazie a questo accordo, risulta essere il doppio vincitore dello scambio. Potrebbe sembrare un cedimento del premier israeliano, e un passo ulteriore verso la pace arabo-israeliana, ma così non è.
Nel Gennaio 2006 Hamas vinse le elezioni a Gaza con il 44% dei voti, si erano presentati al voto come una forza riformatrice, che avrebbe abbattuto il wasta. Questa parola, che letteralmente significa connessioni, a Gaza ha il particolare significato di clientelismo, affare assai noto a noi italiani. Ovviamente il wasta è continuato anche dopo l’elezione di Hamas, e oggi, grazie all’indice di povertà del 40% e alla disoccupazione imperante (50%), il gradimento del partito è sceso ai minimi storici (28%).
Gaza non si sente ben governata, anzi, con una popolazione di 1,6 milioni di abitanti che raddoppierà nei prossimi 20 anni, e con la densità più alta del mondo, rischia di diventare una bomba ad orologeria. Perciò chi meglio di Hamas, che può contare su guerriglieri armati e addestrati, può gestire eventuali disordini e tumulti a Gaza? Nessuno, infatti l’intrafada, ovvero i disordini fra i palestinesi stessi, fa più morti degli scontri arabo-israeliani.
Nella West Bank, invece, Abbas stava aumentando la propria popolarità soprattutto grazie alla richiesta, poi naufragata, del riconoscimento di uno stato palestinese all’Onu. Con i riflettori puntati su di sè, con un progetto concreto per arrivare alla two-state solution e con Hamas che perdeva terreno e potere a Gaza, Israele si sentiva come intrappolato in gabbia.
Come si potrebbe fare per ribaltare la situazione a proprio favore? Semplice, uno scambio di prigionieri. Infatti quasi tutti i detenuti rilasciati da Israele sono di Gaza, il timing è quantomeno sospetto, considerando che a breve si terranno le nuove elezioni nella striscia, sempre che Hamas lo voglia. Così facendo Netanyahu ha guadagnato consensi in patria, regalandosi uno spazio di manovra più ampio, molto probabilmente ha salvato Hamas, e come è facile intuire non può esistere una Palestina senza Gaza che rappresenterebbe l’unico sbocco sul mare per lo stato palestinese, e ha sgonfiato Abbas, rendendolo più debole agli occhi della comunità internazionale.
Blair sta pressando israeliani e palestinesi affinchè si mettano attorno ad un tavolo e ricomincino i dialoghi per il raggiungimento della two-state solution. Ma in questo momento il governo israeliano ha ordinato la costruzione di 2610 appartamenti a Givat Hamatos, nella parte sud-est di Gerusalemme, ovvero la parte più palestinese della città, sigillando così il suo confine a sud con il resto della Palestina. La cecità dell’ex premier inglese, vera o simulata, riguardo a questa decisione è semplicemente allucinante.
Tagliare fuori Gerusalemme dallo stato palestinese ha lo stesso risultato di separare la striscia di Gaza dalla West Bank: niente stato palestinese. Perciò è lampante che l’obiettivo di Netanyahu è quello classico della one-state solution, e sempre più spesso si possono trovare commenti e analisi su come poter far funzionare il meglio possibile questa soluzione, come se fosse già predeterminato che Israele ingloberà al suo interno i territori palestinesi. Di certo il lavoro del premier israeliano sarà sempre più facile d’ora innanzi ed effettivamente la possibilità di creare uno stato palestinese autonomo è sempre più lontana.
Sarebbe necessario prendere di petto la questione e obbligare gli israeliani a scendere a compromessi, ma come sarebbe possibile farlo senza l’uso della forza? Anche questa risposta è molto semplice, infatti le esportazioni israeliani sono per il 65% dirette verso Europa e Stati Uniti, un blocco economico, che come è ben noto non costituisce uso della forza per le Nazioni Unite, costringerebbe Netanyahu a confrontarsi con la realtà e a dover accettare qualche compromesso con i propri vicini. Questo bisognerebbe farlo prima che Israele abbia la possibilità di differenziare il proprio commercio estero, considerando che già oggi la quota di esportazioni verso i nostri mercati è calata di un 40% rispetto ai livelli di 10 anni fa.
Se nessuno deciderà di prendere in mano la situazione il risultato scontato sarà quello di uno stato israeliano sempre più grande, e ciò minerebbe alle fondamenta la sicurezza della regione, poichè Iran e Turchia non vorranno sicuramente rimanere a guardare mentre Israele ingloba la Palestina.
Divide et impera si diceva una volta, dividi e domina si dice oggi, ma il risultato è sempre lo stesso e Netanyahu lo sa fin troppo bene.
(Pubblicato su iMille)